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Darwin fra le stelle

universeQuest’anno, oltre ad essere l’anno di Darwin, è anche l’anno internazionale dell’astronomia, in onore di Galileo Galilei che, esattamente 400 anni fa, alzò per la prima volta il suo cannocchiale al cielo.
Ma anche se siamo sul blog Progetto Galileo, questa è la rubrica progetto Darwin, che c’entra Darwin con le stelle?
Eppure il nesso c’è, ed è dato proprio dalla teoria della selezione naturale cosmologica (SNC), una sorta di applicazione su scala cosmica dei principi più generali della teoria di Darwin.
Chiariamo subito che, a differenza della selezione naturale di Darwin, la SNC non è altrettanto consolidata e accettata dalla comunità scientifica. Ma attenzione, non intendo dire che c’è dibattito e che la comunità scientifica è spaccata sull’accettare o meno la SNC: sto solo dicendo che è una teoria in stato ancora embrionale, basata su ipotesi non strampalate ma ugualmente non supportate da solide conferme sperimentali, nonostante il fatto, notevole, che faccia più di una previsione falsificabile sperimentalmente e che queste previsioni sono al momento confermate dalle osservazioni astronomiche.
Se volete, la SNC è una “teoria” nel senso comune del termine.
E a questo punto, fosse per me, partirei per una lunghissima digressione per chiarire che il falsificazionismo popperiano rappresenta una semplificazione, seppur notevole, del modo di procedere della scienza: che certamente coglie un punto rilevante di ciò che può essere chiamato scienza (se non puoi fare previsioni falsificabili, non ne parliamo nemmeno), ma non esaurisce tutto il suo significato e la sua forza; che lo “spessore” di una teoria non si valuta solo sulla base del “non è stata ancora falsificata”, ma anche sulla profondità con cui la teoria si innesca nel quadro complessivo, olistico (in senso quineiano) delle nostre conoscenza.bubbleuniverse3
Ma divagherei troppo e per gli scopi di questo blog sarà sufficiente limitarsi a chiarire brevemente in che senso la SNC, e in particolare il suo confronto con la teoria di Darwin, rappresenta proprio un esempio paradigmatico di questa situazione.
Giusto per avere un’idea della teoria di cui stiamo parlando, diciamo semplicemente che essa punta a spiegare il cosiddetto fine tuning, e cioè il fatto che le costanti fondamentali del modello standard delle particelle elementari e della cosmologia sembrano sintonizzate finissimamente in maniera da portare alla formazione nell’universo di una grande quantità di stelle dalla vita molto lunga e alla complessa chimica del carbonio che osserviamo — e che consideriamo fondamentale per lo sviluppo della vita così come la conosciamo. Secondo la SNC l’universo in cui viviamo sarebbe solo uno di molti universi che nascerebbero gli uni dagli altri come stati inziali di un Big Bang a partire dalle singolarità che si trovano al centro dei buchi neri degli universi “genitori”. In particolare il meccanismo di generazione sarebbe tale per cui l’universo “figlio” erediterebbe dei valori per le costanti fondamentali solo leggermente diverse da quelle dell’universo “genitore”. Il punto cruciale della teoria è che la chimica del carbonio che giudichiamo essenziale per la vita è in realtà altrettanto essenziale per la formazione di buchi neri, ovvero il meccanismo di generazione di nuovi universi. Questo, dunque, renderebbe meno “speciale” il nostro universo, visto che per selezione naturale cosmologica, la maggior parte degli universi avrà proprio costanti fondamentali sintonizzati sulla formazione di buchi neri. A differenza delle varie versioni del principio antropico, che si limitano ad una giustificazione a posteriori, la SNC offrirebbe una spiegazione falsificabile della situazione. E già questo basterebbe per rendere la SNC una teoria estremamente interessante, indipendente dal fatto, pur notevole, che al momento le osservazioni sperimentali sulle masse delle stelle di neutroni e sulla frequenza di supernovae cosmologiche siano in accordo con le sue previsioni (per qualche dettaglio in più, sempre a un livello divulgativo, solo un po’ meno conciso, potete leggere qui).
Orbene, da un punto di vista puramente astratto e popperiano, la SNC si trova esattamente nella stessa situazione della teoria di Darwin: entrambe pretendono di spiegare fatti ben noti, entrambe fanno previsioni falsificabili che osservazioni ed esperimenti non falsificano e dunque entrambe sono candidate ad essere considerate a buon diritto delle valide teorie scientifiche.
Dove sta la differenza? Perchè la comunità scientifica non discute nemmeno della solidità della teoria di Darwin ed anzi lavora alacremente a perfezionarla e a comprenderne in maggior dettaglio i meccanismi e le “applicazioni pratiche” in ambiti diversissimi (ecologia, paleontologia, immunologia, virologia, genetica delle popolazioni, e così via praticamente all’infinito), mentre di SNC si parla solo fra pochissimi addetti ai lavori e solo come ipotesi, pur interessantissima e al momento unica nel suo genere?
La risposta è semplice e non ha niente a che fare con Popper e sottili argomenti di epistemolgia, ma al contrario è la banale applicazione di una consuetudine dell’uomo per niente limitata alla scienza: semplice buon senso.
La risposta è semplicemente che dell’evoluzione Darwiniana ci sono prove ovunque si posi lo sguardo. La solidità di questa “teoria” sta proprio nel fatto che la si ritrova in ecologia, in paleontologia, in immunologia, in genetica e in tutti gli altri campi che non saprei citare. E, di più, tout se tien, tutto torna, tutto si incastra perfettamente.
copia-di-revolution1L’idea di Darwin è geniale proprio per questo. Non tanto perchè è così generale da trovare applicazione persino in cosmologia, no. E’ geniale perchè è un’idea semplice e tuttavia capace di mettere ordine e spiegare tutto il mondo dei viventi che ci circonda.
Hronir

L’Apocalisse può attendere

419px-the_four_horseman_of_the_apocalypseNel 1859, l’anno in cui venne pubblicato L’Origine della specie, su uno dei libri più diffusi nelle scuole inglesi si potevano leggere frasi come questa: “Ci pensi che bello, zia Helen? Ieri lo zio Henry era a Parigi e sarà a casa oggi. Non è meraviglioso? Ma come faceva l’uomo prima che inventassero il treno?”

Il libro, che non a caso si intitolava Il trionfo del vapore, altro non era che una celebrazione, ad uso delle giovani generazioni, del progresso, un’idea che, elaborata nel corso dell’Illuminismo, stava trovando la sua concreta realizzazione attraverso le innovazioni tecnologiche. Progresso ed Evoluzionismo furono due dei pilastri sui quali la nascente società industriale ottocentesca costruì il proprio sistema di valori e le proprie fortune. L’evoluzionismo fu una rivoluzione filosofica ancor prima che scientifica. L’Origine della specie forniva infatti – ed era la prima volta – una visione del mondo completa, coerente ma soprattutto alternativa a quella proposta dalla Bibbia.

Di fronte all’idea di una graduale evoluzione delle specie, la fede nella Genesi così come veniva raccontata nelle sacre scritture vacillava. Lo stesso valeva per il Giudizio universale, che perdeva di consistenza di fronte alla prospettiva di una prosecuzione – indefinita – dell’evoluzione stessa. Sulla scia di Galileo e di Copernico, Darwin, come avrebbe poi fatto all’inizio del ‘900 Einstein, contribuì a relativizzare la condizione umana, mettendone a nudo la fragilità di fronte alle leggi di natura e a quelle del tempo.

Eppure, in un passato anche recente la principale preoccupazione di storici e scienziati era stata quella di conciliare i contenuti dei loro studi e delle loro teorie con le Sacre scritture. Tipi come il geologo scozzese James Hutton, che sul finire del Settecento aveva osato affermare che non era possibile che il mondo avesse appena 5-6.000 anni come sostenevano gli studi biblici, continuavano ad essere considerati dei veri e propri eretici. Ancora all’inizio dell’Ottocento Georges Cuvier, cristiano devoto, tentò una sorta di mediazione inserendo il Diluvio universale all’interno della sua teoria delle catastrofi cicliche e affermando che quello a cui era scampato Noé era l’ultimo di una serie di disastri susseguitisi sul nostro pianeta. A Cuvier fece eco l’inglese William Buckland, anglicano osservante, il quale, traendo spunto dai ritrovamenti di fossili di animali estinti giunse alla medesima conclusione. Qualche tempo dopo, nel 1829, l’americano Clinton si spinse addirittura oltre prendendosi la briga di calcolare con precisione l’anno della Creazione (il 4138 a.C.). In uno studio storico in più volumi sulla storia della civiltà (nel quale trovò il tempo di calcolare con esattezza la capacità dell’Arca di Noé), l’italiano Cantù fornì la propria versione, asserendo invece che l’umanità era vecchia di 7-8.000 anni. E a poco valsero le obiezioni di geologi come Charles Lyell (che non a caso ebbe una forte una forte influenza sul giovane Darwin) che invece sostenevano la gradualità del mutamento della crosta terrestre, avvertendo che la datazione delle rocce erano assai più antica di qualche migliaio di anni.apocalisse

In storia, la rivoluzione darwiniana fu favorita, ironia del destino, da un non evoluzionista. Che a dire il vero non era né uno storico, né un archeologo, né uno scienziato, almeno in senso stretto. Jacques Boucher de Crèvecoeur de Perthes di mestiere faceva infatti il funzionario della dogana di Abbeville ma si dilettava, da erudito, di antiquaria, di storia, di archeologia e altre antichità.

Boucher de Perthes era convinto, come già Voltaire e altri illuministi, che l’uomo esistesse da tempi immemorabili e che la storia seguisse un andamento ciclico, scandito da altrettanto ricorrenti catastrofi naturali. Dai suoi scavi intorno al bacino della Somme e dalle sue minuziose catalogazioni di fossili, reperti e manufatti umani, ricavò uno studio in tre tomi (pubblicati in poco più di un ventennio tra gli anni ’40 e ’60) che intitolò Antichità celtiche e antidiluviane. Nonostante Boucher sostenesse il contrario, i libri non provavano affatto il succedersi ciclico di età dell’oro e la loro successiva decadenza e distruzione. Provavano però, indirettamente, che ciò che Darwin sosteneva era vero: che reperti umani si trovavano accanto a resti di animali estinti in epoche considerate “antidiluviane”. E soprattutto che nel corso di migliaia, di decine di migliaia di anni c’era stata una sola, faticosa ma costante, marcia ascendente dell’umanità.

A partire dalla metà dell’Ottocento, l’affermarsi dell’evoluzionismo – nonostante le feroci resistenze di coloro che ancora si attenevano al testo biblico – provocò un vero e proprio terremoto culturale che, assieme all’idea del Diluvio Universale, cambiò forse definitivamente la concezione stessa dell’Apocalisse. L’evoluzionismo faceva del presente solo un momento di passaggio di un percorso di centinaia, forse migliaia di secoli. L’idea di una fine del mondo imminente, incombente e soprattutto immediata, concepita secondo gli schemi dei libri sacri del cristianesimo cominciò a sgretolarsi. Questo avvenne – sia chiaro – assai lentamente: rimenando a lungo appannaggio dei ristretti circoli scientifici, culturali e letterari e passando solo gradatamente, e in tempi successivi, nell’immaginario collettivo. L’idea della fine del mondo non sparì, ma cambiò e si dilatò nel tempo. L’Apocalisse non sarebbe avvenuta nei modi previsti dalla Bibbia ma in seguito ad eventi naturali. E, soprattutto, sarebbe molto probabilmente giunta in epoche lontane, talmente distanti nel tempo da avvenire dopo l’estinzione dell’umanità. Magari quando, come aveva teorizzato in quegli stessi anni William Thomson, futuro Lord Kelvin, con la seconda legge della termodinamica (in base alla quale, per inciso, si attribuiva al nostro pianeta perlomeno 20 milioni di anni) la Terra sarebbe divenuta un ammasso di rocce inerti nello spazio cosmico.

TauZero

I falsi miti sull’evoluzionismo: 2. sopravvivenza del più adatto

copia-di-revolution1“Sopravvivenza del più adatto” è un modo colloquiale per descrivere la selezione naturale, ma una descrizione più tecnica dovrebbe parlare di diversi gradi di sopravvivenza e di riproduzione. Infatti, invece che catalogare le specie in base a quanto si adattano oppure no, potremmo suddividerle in base a quanta prole sono in grado di lasciare in certe circostanze. Mettete una coppia di fringuelli che si riproducono in modo veloce ma dal becco piccolo e una coppia che si accoppia di meno ma dal becco largo in un’isola piena di semi come cibo. In poche generazioni la coppia che si riproduce più velocemente potrebbe controllare la maggior parte delle risorse di cibo. Tuttavia se i fringuelli col becco più largo spezzano i semi più facilmente, il vantaggio potrebbe superare quello degli altri. In uno studio pioneristico sui fringuelli delle Galapagos, Petergalapagos-finches Grant della Princeton University osservò questo tipo di popolazioni variare in natura (Scientific American, Ottobre 1991).

La chiave è che la fitness adattativa può essere definita senza far riferimento alla sopravvivenza: fringuelli col becco grande sono meglio adattati per spaccare i semi, indipendemente dal fatto che quella caratteristica abbia un valore di sopravvivenza in alcune circostanze.

Quel nulla che separa Dio e Darwin: commento ad un articolo di Emanuele Severino

«Il divenire della vita non ci dà affatto l’immagine rassicurante d’una scala progressiva di esseri. Ma piuttosto quella d’una storia punteggiata da improvvisi traumi evolutivi e da estinzioni brutali e massive, dove la sopravvivenza di certi rami invece di certi altri dipende da fattori del tutto contingenti e indeterminabili».

Stephen J. Gould

Scienziati e teologi commettono lo stesso errore. Per gli uni l’evoluzione è guidata dalla necessità della selezione naturale, per gli altri la provvidenza governa il destino dell’umanità. Ma il divenire del mondo, in realtà è guidato dal caso.
Lo afferma il filosofo Emanuele Severino, in un articolo
dal titolo “Il nulla che unisce Dio e Darwin” uscito sul Corriere della Sera.

«Il divenire è caso; e nessuna necessità può caratterizzare i programmi informatici, biologici, metafisici, teologici […]»

Da cosa desume il filosofo che “la scienza” ha una visione rigidamente deterministica dell’evoluzione? Lo si scopre dalle prime righe dell’articolo:

«la scienza deve lasciarsi alle spalle ogni “necessità” e […] la biologia non può concepire il patrimonio genetico come qualcosa che, “uscito dall’ambito del puro caso entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni“, come sostiene Monod».


Jacques Monod, l’autore di “Il caso e la necessità“, naturalmente. Secondo Severino, la necessità di cui parla Monod sarebbe una direzione imposta all’evoluzione, una sorta di provvidenza scientifica:
«La biologia sfrutta oggi a fondo il concetto di “programma”», ma «l’evoluzione per sua natura è “cieca”, non può avere alcuna direzione se non quella che di fatto, casualmente, si produce e che di fatto è osservabile».

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Palmarini zero, Darwin 1

Sul Corriere.it di ieri mi sono imbattuto in un articolo firmato da Massimo Piattelli Palmarini, un professore di scienze cognitive all’Università dell’Arizona, cui stento ancora a credere.

La tesi di quest’articolo “bizzarro” è che il sequenziamento del Dna dell’ornitorinco pubblicata su Nature e su Genome Research possa addirittura inficiare la teoria dell’evoluzione. Detto poi da un professore che si occupa di evoluzione del linguaggio è un po’ come scavarsi la fossa da solo.

Ma andiamo con ordine.

Dopo aver aperto l’articolo con le solite frasi ricorrenti che si usano quando si parla di ornitorinchi, cioé della sua eccezionalità, stranezza e delle mille curiosità della sua natura, Palmarini ci spiega che i cromosomi sessuali nell’ornitorinco sono ben dieci. Certo cosa strana ma risaputa ormai da anni e che non c’entra niente con gli studi recenti su cui si dovrebbe basare l’articolo.

Siamo informati anche del fatto che i cromosomi dell’ornitorinco sono 52 rispetto ai nostri 46. E qui pare che voglia stupire facendoci notare quanto ancor più strano sia questo animale: addirittura 6 cromosomi in più rispetto agli umani! Sarà di sicuro un mostro! Ma questo non deve stupire perché l’ornitorinco rispetto ad un animale comune come il cane fa una pessima figura. Dall’alto dei suoi 78 cromosomi fido pare ben più strano dell’ornitorinco, giusto? (pensare che il tacchino ne ha 82 mi mette i brividi)

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