Intervista a Telmo Pievani

Monsignor Elio Sgreccia , intervenuto al congresso organizzato dall’Ateneo Pontificio ‘Regina Apostolorum’ sostiene che «non c’è contraddizione tra creazione ed evoluzione, purché si mantengano alcuni punti fermi». Quali sono i punti fermi?

– Primo: l’evoluzione è governata da un disegno superiore;

– Secondo: l’uomo è ontologicamente diverso dalle bestie.

E fin qui, niente da ridire, ognuno è libero di pensarla come meglio crede.

Il problema nasce se, attorno a questi capisaldi privi di fondamento scientifico si costruisce una ‘teoria’, le si dà il nome intrigante di ‘ Intelligent design’ e si pretende di insegnarla nelle scuole come alternativa all’evoluzionismo darwiniano. E se proprio non si riesce a vendere l’I.D. come teoria scientifica, allora basta affermare che neanche il neodarwinismo è una teoria scientifica.

Negli Stati Uniti, una sentenza del Congresso* ha costretto alcuni stati a cancellare la norma che prevedeva di affiancare l’insegnamento dell’I.D. all’Evoluzionismo, ma la faccenda non è chiusa: in piena campagna elettorale sta per uscire nelle sale americane un documentario favorevole al creazionismo.

Abbiamo rivolto a Telmo Pievani qualche domanda, per chiarire le idee a noi e ai lettori di Progetto Galileo.


Progetto Galileo: Gli evoluzionisti spesso non accettano di confrontarsi su un piano scientifico con i sostenitori dell’ID, affermando che questa teoria non può essere considerata scientifica. Il confine tra scienza e non scienza è molto labile, con quali argomentazioni si può affermare la non scientificità dell’ID?

Telmo Pievani: Gli scienziati fanno bene, a mio avviso, a non accettare confronti con creazionisti o neocreazionisti in contesti istituzionali e scientifici che diano una implicita patente di plausibilità all’interlocutore. Devono invece imparare ad accettare il confronto sui media generalisti, per evitare che un pubblico di non esperti sia esposto a opinioni tendenziose senza un contraddittorio ben argomentato. L’ID non è scienza perché non ha una base empirica, non ha inferenze logiche e argomentative fondate e non è nemmeno una buona controversia perché non coglie reali punti deboli del programma di ricerca evoluzionistico. E’ una dottrina teologica o filosofica. Infine, non regge ad un semplice ragionamento per assurdo: se un progettista intelligente fosse stato davvero all’opera nella storia naturale, non sarebbe stato per nulla “intelligente”.


PG: Con quali argomentazioni è possibile sostenere la scientificità della teoria dell’evoluzione? In particolare, la teoria dell’evoluzione è falsificabile?

TP: Certamente. La teoria dell’evoluzione può generare moltissime “predizioni rischiose” che uno scienziato può falsificare o corroborare, anche in laboratorio. La componente storica della spiegazione evoluzionistica, poi, non esclude affatto che sia verificabile e che ipotesi alternative siano sottoposte alla prova dei fatti accertati.

PG: La teoria dell’evoluzione è un “paradigma utile” in termini di capacità predittiva o capacità di fornire soluzioni?

TP: Al momento, è l’unico programma di ricerca in grado di tenere insieme in una cornice coerente i dati in nostro possesso provenienti dalle discipline più diverse, dalla genetica delle popolazioni alla paleontologia. Il nucleo esplicativo è quello neodarwiniano. Si discute poi sull’importanza di singoli fattori, sui ritmi del cambiamento, sull’importanza dei tratti non adattativi e sui livelli di selezione. Ma sono controversie che non intaccano la solidità del programma di ricerca in generale.

PG: In molti criticano l’impostazione negativa della teoria dell’evoluzione. Un teologo come Vito Mancuso e un biologo come Stuart Kauffman sono finiti curiosamente per convergere sull’idea che il caso non basti a spiegare l’enorme varietà di forme su cui agisce la selezione naturale e che l’ordine potrebbe essere una proprietà intrinseca della materia, in grado di emergere spontaneamente in determinate condizioni. Siamo abbastanza lontani dall’ID. A questo livello, un dialogo è possibile? Cosa ne pensi di queste teorie?

TP: Kauffman era partito dall’idea che i processi di autorganizzazione potessero sostituire la selezione naturale e generare una teoria dell’evoluzione alternativa. Poi ha cambiato idea e adesso parla della complementarità fra proprietà emergenti e selezione naturale. Il testo di Mancuso è eterodosso e molto coraggioso, ma si basa sul solito errore di leggere la natura con la lente della teologia. Finisce così per vedere nella natura ciò che non esiste, ovvero un piano finalistico ordinato. Gli elementi di reticolarità del vivente non giustificano in alcun modo l’idea che in natura siano nascosti fini o direzioni preordinate. E’ un salto logico infondato. L’evidenza empirica ci dice che la storia naturale è caratterizzata da una radicale, profonda contingenza. Questo è il dato su cui deve riflettere il teologo, come il filosofo. Non dobbiamo cercare nella natura i fondamenti dei nostri convincimenti teologici, e ancor meno delle nostre credenze. Rischiamo di esserne delusi…

PG E infine una domanda opzionale, mi rendo conto che andiamo un po’ fuori tema. La diffidenza nei confronti della teoria dell’evoluzione mi sembra rientri in una diffidenza generalizzata nei confronti della scienza. L’idea che la scienza e la tecnica non siano strumenti neutri ma contengano in sé una qualche intrinseca negatività è piuttosto diffusa. Per te scienza e tecnologia sono strumenti neutrali?

TP: Non credo proprio che siano neutrali. Sono strumenti umani. Come tali, carichi di opportunità e di rischi al contempo. Il problema è capire come gestire la loro ambiguità. Possiamo farlo rispettando l’insopprimibile curiosità umana, ma decidendo insieme, democraticamente, caso per caso, dove porre eventuali limiti. Di certo, i limiti non possono essere imposti, secondo me, dalla paura, dall’ignoranza e da strutture di pensiero dogmatiche fondate su precetti religiosi che appartengono soltanto a una parte della società.

Andrea Ferrigno


* «The Conferees recognize that a quality science education should prepare students to distinguish the data and testable theories of science from religious or philosophical claims that are made in the name of science. Where topics are taught that may generate controversy (such as biological evolution), the curriculum should help students to understand the full range of scientific views that exist, why such topics may generate controversy, and how scientific discoveries can profoundly affect society

«I membri del Congresso riconoscono che una educazione scientifica adeguata dovrebbe preparare gli studenti a distinguere i dati e le teorie virificabili della scienza da affermazioni religiose o filosofiche fatte in nome della scienza. Per argomenti che possono generare controversie (come l’evoluzione biologica), il programma dovrebbe aiutare gli studenti a comprendere la totalità dei punti di vista scientifici esistenti, il perché tali argomenti possono generare controversie e come le scoperte scientifiche possono influenzare profondamente la società.»

14 Risposte to “Intervista a Telmo Pievani”


  1. 1 capemaster aprile 7, 2008 alle 6:37 am

    aggiungo alla discussione una bella immagine 😀

  2. 2 Anisotropie aprile 7, 2008 alle 9:04 am

    Bell’intervista e bella immagine!

  3. 3 grandesacchetto aprile 7, 2008 alle 10:23 am

    Ottimo pezzo: dovrebbe leggerlo anche un certo Clemente J Mimun..

  4. 4 fabiobiker aprile 7, 2008 alle 11:24 am

    La logica del sig. Sgreccia non fa una piega: non c’è contraddizione tra creazione ed evoluzione, purché … l’evoluzione sia conforme ai dogmi della creazione.

    Meno male che ci sono logici sopraffini come lui in circolazione…

    Un saluto

    Fabio

  5. 5 Cachorro Quente aprile 7, 2008 alle 4:49 PM

    Secondo me, i due “capisaldi” di Monsignor Sgreccia possono essere un sensato compromesso per il punto di vista ecclesiastico, o un punto di partenza per i peggiori deliri pseudoscientifici, a seconda di come li si interpreta.

    Cioè: se fossi cristiano, probabilmente anch’io penserei che Dio abbia “truccato i dadi” in modo da favorire lo sviluppo dell’evoluzione verso un primate auto-cosciente e raziocinante (rispetto a un enorme crostaceo cannibale in grado solo di bestemmiare ed emettere flatulenze); e crederei che, a un certo punto di dell’evoluzione, si sia sviluppata una specie (l’homo sapiens) con caratteristiche peculiari e uniche (l’anima immortale).
    Non trovo nessuna evidenza scientifica incompatibile con questi assunti, mantenendo un po’ di elasticità.

  6. 6 Meristemi aprile 7, 2008 alle 8:12 PM

    Tutte questioni che dovrebbero stimolare a promuovere lo studio dell’epistemologia non solo nelle facoltà umanistiche o ibride, ma anche in quelle più strettamente tecniche, più hard. Un limite che molti “uomini di scienza” hanno è proprio quello di una limitata consapevolezza filosofica e politica del loro agire.

  7. 7 Lap(l)aciano aprile 8, 2008 alle 4:59 am

    Caro Cachorro,

    se fossi cristiano, non avresti nemmeno bisogno di credere che il Signore abbia truccato i dadi.

    Vedila così, Lui ha la piena libertà di usare gli strumenti che crede per creare; poteva creare il mondo in 6 giorni 6000 annni fa, ma non l’ha fatto e ha pensato bene di creare l’uomo con un meccanismo darwiniano. Dov’è il problema logico?

    Un rapido excursus: ti assicuro che da scienziato e cristiano quale sono, nulla mi irrita di più di essere associato all’intelligent design, che mi sembra una menzogna quasi diabolica.

    A presto
    Stefano

  8. 8 Cachorro Quente aprile 8, 2008 alle 8:00 am

    Bè, dipende dall’idea che uno ha di Dio… effettivamente la tua visione è logica, a me risulta un po’ difficile concepire l’onniscienza e l’onnipotenza quindi se me lo figuro immagino una divinità tipo Antico Testamento, che procede per trials and errors e interviene solo di tanto in tanto.

  9. 9 andrea ferrigno aprile 8, 2008 alle 9:41 am

    @ Cachorro
    “Non trovo nessuna evidenza scientifica incompatibile con questi assunti, mantenendo un po’ di elasticità.”

    Uno scienziato non può sostenere questo o quell’assunto soltanto perché non è smentito da evidenze scientifiche.
    Ai tempi di Galileo, i cattolici tenevano moltissimo al fatto che la luna fosse un “corpo perfetto” e in quanto tale doveva avere una superficie perfettamente liscia. Le osservazioni al cannocchiale rivelarono la presenza dei crateri, quindi addio perfezione.
    Tuttavia qualcuno sostenne che “la luna doveva necessariamente essere rivestita da una superficie vitrea trasparente, quindi non visibile al canocchiale.”
    Ovviamente non esistevano evidenze scientifiche in grado di smentire questo assunto. Ma non esistevano nemmeno evidenze in grado di smentire l’assunto che sull’altra faccia della luna ci fosse una popolazione di gnomi verde acido che ballano la rumba tutto il giorno.

    @ meristemi
    Come sostiene Stephen J Gould in “Risplendi grande lucciola”, uno dei tragici errori di certi scienziati del XX secolo è stato proprio quello ci attribuire una valenza filosofica e politica alle proprie osservazioni e teorie. Sto parlando di certi evoluzionisti che parteciparono attivamente al Terzo Reich. Non sono d’accordo con te, attribuire una valenza filosofica alle proprie osservazioni porta inevitabilmente a truccare i dati per farli coincidere all’ideologia.

  10. 10 Meristemi aprile 8, 2008 alle 7:24 PM

    Anche la tua alla fine è una reductio ad Hitlerum (http://it.wikipedia.org/wiki/Reductio_ad_Hitlerum) in base alla quale, per assurdo, qualunque disciplina scientifica o sociale abbia fatto capolino dalle parti dei campi di concentramento (e sai che ne sono rimaste fuori poche) andrebbe castrata perchè potenzialmente foriera di disastri e sciagure. Voi su questo blog fate (e parecchio, forse non ve ne rendete conto) filosofia e politica a partire da dati di scienza e vi schierate apertamente, per cui mi sembra anche una posizione abbastanza contraddittoria.

    La mia posizione è diversa, forse solo più ottimista o più legata ad aspetti fortemente applicativi. Io parto dall’assunto (comune a Gould, peraltro. E non solo) che il raggiungimento di una neutralità completa dell’operatore è un limite irraggiungibile. Per ovviare a questo o limitarne i possibili danni il tecnico a mio avviso deve avere un’idea della storia della scienza, del processo con cui questa si forma, delle implicazioni che può avere per il futuro dell’uomo, della ricaduta del suo agire, del suo senso nel mondo e nella società. E’ una parte a mio avviso imprescindibile nella formazione dello spirito critico. A quanti neolaureati in materie scientifiche qualcuno ha spiegato cosa è il metodo scientifico, come è nato e perchè? A quanti ricercatori impegnati in agronomia ma anche in ingegneria viene spiegato cosa sia lo sviluppo sostenibile? Sono solo due esempi. Non sto propugnando ad un ritorno dello scienziato-filosofo di stampo ottocentesco, semplicemente credo che tra queste due anime debba esserci qualche punto di contatto in piu’. Pievani nell’ultima risposta sostiene giustamente che scienza e tecnologia non sono neutrali, ma ambivalenti. Lo scienziato completamente slegato dal reale e dal senso delle sue azioni ha gli strumenti per gestire questa ambivalenza? O lascia le sue scoperte in balia di altri e pilatescamente se ne lava le mani così come quello che non sa divulgare bene le sue scoperte è in balia dei cattivi comunicatori e dei giornalisti incapaci. Rischia di non essere altro che una versione hi-tech dell’analfabeta politico di Brecht.

    Citi Gould (che peraltro ha nel suo bagaglio anche un certo attivismo politico diretto), ti rispondo con Gell-Mann ed il suo “sguardo approssimativo dell’insieme”: lo scienziato di oggi deve essere “plectic”, avere capacità di sintesi culturale a tutto campo (intra- ed extra-hard science) e la sua capacità di aprire gli occhi dal micromondo della provetta e del bosone alla complessità dinamica del reale e dei macrosistemi è IMHO cruciale. Una semplice osservazione di qualunque ambito contemporaneo mostra che la semplice applicazione di tecnologie senza un contesto politico adeguato è destinata a fallire. Pretendiamo sempre che i politici ed i comunicatori imparino a capire la scienza e le sue regole per garantirne l’applicazione corretta, ma deve essere garantito anche il contrario ed il ricercatore “con le palle” non può solo vivere e capire esclusivamente ed autisticamente le dinamiche di un laboratorio.

    Concludo notando che hai dato automaticamente alla politica una connotazione negativa, secondo l’inveterata abitudine italiana di una politica de facto sinonimo di faziosità, laddove invece dovrebbe essere tavolo della discussione sul bene comune (ambientale, materiale, produttivo) a cui anche la scienza dovrebbe saper fare a sedersi. Anche qui non concordo: avere un’idea di cosa significhi la politica nella sua accezione più alta è un concetto diverso dall’assumere una posizione dogmaticamente (o ideologicamente) condizionata.

  11. 11 mikecas aprile 8, 2008 alle 7:42 PM

    la Scienza ed il suo uso pratico, cioe’ la tecnologia, sono due cose diverse che hanno diverse implicazioni con la natura umana piu’ profonda….
    E’ un argomento che andrebbe discusso a fondo, ma e’ veramente complesso…..

  12. 12 andrea ferrigno aprile 9, 2008 alle 9:44 am

    Nessuna cosapevolereductio ad hitlerum , potrei fare altri esempi, anzi li faccio.

    Per decenni l’occidente è rimasto legato ad una visione malthusiana dell’evoluzione e ha usato la teoria dell’evoluzione per giustificare l’ultraliberismo. Be’. Più avanti qualcuno ha scoperto che negli ambienti a bassa densità di popolazione si evolvono forme di cooperazione. E allora? Adesso dovremmo usare questa scoperta per giustificare il socialismo? Le scoperte scientifiche non hanno intrinseche connotazioni etiche, ci dicono come funziona il mondo, non come è bene che funzioni.

    Oppure. L’embrione nelle prime fasi di sviluppo è un grumo di cellule. Non credo sia compito del ricercatore stabilire se quel grumo di cellule sia o no “vita” e se la vita debba o no essere considerata sacra. Non ho mezzi scientifici, non conosco dosaggi in grado di dare risposte filosofiche.

    La politica è o dovrebbe essere “tavolo della discussione sul bene comune”. Però dubito che esistano mezzi scientifici efficaci per valutare il bene comune. Uno scienziato è in grado di valutare il rischio ambientale di certe scelte per la salute pubblica, ma non può decidere se è “meglio” puntare sulla produttività o sulla salvaguardia della salute.
    Tra scienza ed etica c’è un salto. Ogni volta che uno scienziato decide di saltare deve esserne consapevole (ho finito per darti ragione, in qualche modo) e stare bene attento a NON giustificare le sue scelte politiche con le osservazioni scientifiche. E’ troppo facile manipolare le scoperte scientifiche in qualunque direzione si desideri.

  13. 13 Meristemi aprile 9, 2008 alle 9:59 PM

    Ok, siamo arrivati ad un punto d’incontro. Lo scienziato non può ne deve decidere su cosa è meglio puntare, ma per completezza dovrebbe avere un’infarinatura, un’idea dei meccanismi posti in atto da chi opera la decisione. Faciliterebbe la comprensione reciproca, quantomeno.

  14. 14 Andrea Ferrigno aprile 10, 2008 alle 9:32 am

    Sì 😉 , comunque ammetto che avevo sovrainterpretato il tuo primo commento.

    C’è una interessante discussione a riguardo sul blog di Ivo Silvestro


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